Si è sempre sospettato, Facebook ha pagato anche molte multe per questo, ma la situazione è sempre la stessa: lo smartphone ci ascolta per profilare la pubblicità. Esiste un modo per limitare il problema a monte
È il sospetto che tutti abbiamo ormai da tempo: lo smartphone ascolta ciò che diciamo e poi propone gli oggetti nominati nei nostri discorsi sotto forma di annuncio pubblicitario. A volte sembra casualità, altre volte si è pensato fosse un problema legato all’utilizzo di Facebook e in generale delle piattaforme social. Più volte Zuckerberg ha però comunicato di non poter in alcun modo usare i dati delle conversazioni di WhatsApp poiché crittografati.
Negli ultimi mesi invece Meta si è ritrovata a pagare salate multe per aver violato la privacy utilizzando i dati dei suoi utenti per la pubblicità profilata. Come ripicca Zuckerberg ha deciso di rendere Facebook e Instagram a pagamento per tutti coloro che avrebbero voluto tener segreti e non utilizzabili da terze parti i dati lasciati sui social network.
In questa sottile forma di ricatto, i colossi si salvano, ma dall’altra parte l’utente si ritrova a pagare più del dovuto. A parte la questione Meta, per il resto delle app, i vari studi che sono stati condotti negli anni precedenti non sono risultati positivi: nessuna app sembrava potersi rivelare ‘pericolosa’ in questi termini.
Adesso, però, la situazione è cambiata: per la prima volta c’è una prova che alcune società di marketing stanno pubblicizzando dei software che hanno proprio la funzione di ascoltare le nostre conversazioni. A rivelarlo è la testata 404 Media, che ha individuato una pagina web (poi cancellata) della società Cox Media Group (CMG). La notizia è stata poi ripresa da La Repubblica, e ha iniziato a fare il giro delle testate nazionali per dare rilievo al tema.
Il dipartimento del marketing territoriale di CMG (chiamato Local Solutions) dichiara di poter ascoltare le conversazioni delle persone tramite smartphone, ma anche tramite altri dispositivi, per poi identificare i consumatori perfetti per una determinata azienda solo ascoltando i loro argomenti.
A far cadere nel ‘tranello’ gli utenti, spiega CMS, è il fatto che le persone tendono a dare consenso accettando i termini e le condizioni dei software o delle app che scaricano. In questo modo, il lavoro di ‘ascolto’ dei dati è del tutto legale. Tra le società che CMG elenca tra i suoi partner troviamo Amazon, Microsoft e Google. Tutti i colossi, spiega Repubblica, hanno risposto negativamente, ognuno con le sue ragioni. È tempo di far chiarezza sulla questione.